La pandemia, che stiamo affrontando ormai da più di un anno,è stata recentemente oggetto di un importante studio da parte di Unimore. Il Dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze, forte di una collaborazione internazionale con Stoccolma, ha condotto un’approfondita ricerca sulle differenze e sulle relazioni tra la prima e la seconda ondata. Il lavoro è stato poi pubblicato sulla rivista internazionale “Environmental Research”. Gli autori sono due importanti medici igienisti ed epidemiologi della Sezione di Sanità Pubblica del Dipartimento, il Prof. Marco Vinceti e il Dott. Tommaso Filippini.
I lavori sono partiti innanzitutto dalla possibilità di avere accesso all’intero corpus di dati, a livello nazionale, sull’incidenza del virus sulle singole province. A questo insieme è stato applicato una procedura statistica elaborata presso l’Istituto Karolinska di Stoccolma. Il risultato emerso è una correlazione diretta tra le due ondate, fino all’incidenza di 500 casi/100000 residenti. Nella seconda ondata invece l’andamento è stato inverso e quindi si è attenuata notevolmente.
Le interpretazioni date a questo esito sono state diverse, alcune più plausibili di altre. Una prima conclusione è che già nella prima ondata si sia giunti ad un buon livello di immunità. Un’altra possibilità è che nella prima ondata siano stati colpiti soprattutto i “superdiffusori”, cioè coloro che hanno un ruolo importante nella trasmissione della pandemia. Un’ultima lettura, considerata dagli autori la più improbabile, è che le misure prese nelle zone più colpite siano state più stringenti nella seconda fase.
I due autori hanno dimostrato grande entusiasmo per i risultati ottenuti, resi prima di tutto possibili dalla disponibilità di tutti i dati scientifici e statistici. Ma soprattutto riconoscono l’importanza di questo tipo di studio per poter analizzare a 360 gradi la pandemia e cercare di comprenderla per evitare altre crisi di questo tipo.
A questo studio hanno collaborato anche il Prof. Nicola Orsini, biostatistico italiano che insegna a Stoccolma, il Prof. Kenneth Rothman, epidemiologo statunitense della Boston University e Silvia Di Federico, laureanda carpigiana in Medicina e Chirurgia. La ricerca è stata anche finanziata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena.